Durante il Miracolo Economico Italiano, dalla fine degli anni Quaranta fino agli anni Sessanta, a Volterra non mancavano di certo le macellerie; in pratica ogni via e isolato aveva il suo macellaio di fiducia e alcuni erano specializzati nel senso che, accanto alle strutture classiche, che offrivano carni bovine, e agli esercizi equini, non mancavano le pollerie. Sì, c’erano i banchi della grande distribuzione, ma non esercitavano una forte attrazione. Erano tagli per chi aveva tanta fretta o pochi soldi e non stava lì tanto a controllare la qualità. E poi il grande di allora oggi fa un po’ sorridere con il gigantismo di ipermercati e centri commerciali dove ti perdi.
Oggi facciamo nuovamente affidamento ad una manciata di attività. Il regresso impera e la macelleria acquisisce il ruolo di bottega conservatrice dei mestieri del passato, quasi alla stregua del calzolaio e dell’alabastraio. Non dobbiamo attribuire la colpa solo alla crisi economica del nuovo millennio; il decremento è dovuto anche perché si mangia meno carne. Quella rossa è stata demonizzata in chiave rischi tumorali, in particolare se cotta alla griglia, quando il vero pericolo arriva dalla carbonella impiegata; quella di maiale è un attentato alla linea e al colesterolo, e quella di pollo sta lasciandosi alle spalle una pesante crisi sanitaria. Si potrebbe dire, parafrasando una verità del mondo vinicolo, che si mangia meno per mangiare meglio. Piace la cucina naturale, cresce l’attenzione verso il mondo vegetariano, le proposte di pesce trovano sempre più spazio nelle carte dei ristoranti: tutti fattori che penalizzano la carne. In particolare l’uso quotidiano.
Sono andati persi gli anni del boom economico, quando mangiare ogni giorno la fettina era visto come uno status symbol. Oggi cercano la carne con l’acquolina in bocca; chi ne ama gli umori, la sostanza concreta, chi gradisce masticare e magari passa dalla leggerezza della destrutturazione spagnola alla solidità di una Fiorentina in versione primordiale, da bestie allevate in pieno rispetto della loro essenza di erbivori.
In una visione generale, oggi la carne è ritornata per pochi.
Le motivazioni sono diverse, ma sembra quasi di essere tornati negli anni trenta del secolo scorso.
Le macellerie dei tempi d’oro hanno comunque ben poco a che fare con quelle moderne. Ci sono stati moltissimi cambiamenti, dai tagli della carne, all’esposizione in banco, alle preparazioni. Del resto anche il tessuto sociale è cambiato, i ritmi di vita sono sempre più veloci, c’è sempre con meno tempo a disposizione per cucinare.
Il cambiamento delle cose ha imposto al macellaio una trasformazione, un’evoluzione delle sue competenze tradizionali; deve essere ancora più specializzato, ancora più professionale, ancora più addentro al mondo della carne. Una competenza formativa a cui non si può più prescindere e solo con essa può garantirsi la sopravvivenza. Una direzione quasi obbligata, ma non direi negativa: è il male necessario che ha ridisegnato il valore di carne che trionfa solo se di qualità.
Prima non si faceva, ma oggi prestiamo molta attenzione solo alla sua qualità ed è invidiabile quanto più il prodotto alimentare di eccellenza è sicuro e certificato. Diventano di conseguenza importanti anche i produttori a monte di un ristorante e il cuoco non è più idealmente solo con la sua arte e la sua capacità di stravolgere gli ingredienti, ma deve tornare a rispettare l’anima di un taglio, una verdura, un pesce. La carne, quindi, di fronte alla diminuzione della domanda, sta reclamando la sua antica supremazia per riacquisire il ruolo di cibo di alto livello.
E dinanzi a tutto questo, il fenomeno della monumentalità della carne sta portando sempre più in primo piano la figura del macellaio, che sebbene sia una categoria in squadra ridotta, è divenuta una professionalità di alto valore.
Ecco dunque alcuni consigli.
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